26/11/08

Gruppo Fioriste della Parrocchia



" Coloro che fioriscono le nostre chiese sono a loro modo gli animatori, sono artisti e poeti, hanno senso pastorale, lavorano in comunione con gli operatori di altre discipline per armonizzare i linguaggi, per dire meglio il Mistero e condurre ad incontrare il Signore che salva, nell' azione liturgica. Il gruppo è nato il 27 Gennaio 2009.

Lucia Niccoli, Giuliana Niccoli,
Anna Monaco, Orietta Pagni,
Maria Rosa Colombini, Ornella Mondani, Letizia Lavoratti,
Anna Maria Bonvicini.

16/11/08

Ritiro Giovani a Lecceto: oasi di spiritualità









" Dio parla nel gran silenzio del cuore " ( S. Agostino )
Nei giorni 15 - 16 Novembre con il gruppo giovani della Parrocchia, mi sono recato all' Eremo Agostiniano di Lecceto per il ritiro spirituale in preparazione all' " AVVENTO". Sabato 15 alle ore 8,30 circa, partiamo per Lecceto.
Lungo il viaggio decidiamo di deviare per Monteriggioni...
Monteriggioni si trova su di una bassa collina a
circa 10 km da Siena e a 45 km da Firenze. Fino al XI secolo Monteriggioni fu una stazione di scambio lungo la via Francigena. Siena trasformò Monteriggioni in un imponente fortezza per proteggere il confine nord durante le guerre contro Firenze. La sua posizione permetteva il controllo delle valli dei fiumi Staggia e Elsa nella direzione di Firenze. Le sue mura furono costruite negli anni 1213-1219 (come risulta dalla pietra posta sulla Porta Romea) e misurano 570 metri di lunghezza, 20 metri d'altezza ed hanno 14 torri quadrate e due porte d'ingresso (Porta Romea o Franca verso Siena e Porta di San Giovanni o Fiorentina verso Firenze).
Dopo una breve visita e una degna colazione, si riprende il viaggio verso Lecceto...
L' Eremo,restaurato nel 1972 e affidato alle Monache Agostiniane che hanno iniziato un’esperienza di preghiera in quello che è considerato il più antico tra i monasteri agostiniani nati in Italia dopo la distruzione di quelli, numerosi, che esistevano nel nord Africa. Ci sono anche le grotte dove i monaci si ritiravano a pregare. Ora è quasi un castello, con una gran torre di difesa e due chiostri, di cui il più bello è quello di clausura.Chi va a Lecceto è avvisato fin dal suo ingresso nella cittadella monastica: Ilicetus vetus sanctitatis illicium.
(l’antico lecceto è seduzione di santità).
In questo angolo di paradiso, oltre al silenzio e il canto degli uccelli c' è la comunità delle monache che scandisce al suono della campana i vari momenti di preghiera della giornata accompagnati con strumenti riempiendo la chiesa d’armonie straordinarie. Lecceto... una bellissima occasione per conoscere una realtà stupenda, capace di stupire e accrescere la spiritualità di chi viene in visita, un luogo capace di farti sentire quanto sia concreta la presenza di Dio nella vita di ciascuno di noi.
Una esperienza che non si racconta, si vive. L’accoglienza che le monache offrono è la preziosità di questa esperienza, partecipando alla “loro preghiera” nelle Ore del giorno. Lecceto per tutti noi è diventato punto di riferimento... oasi di ristoro...

11/11/08

Giovedì 13 Novembre



13 Novembre: Nascita di Sant'Agostino
Nello stesso giorno si celebra la Festa di tutti i Santi Agostiniani.

Ritiro spirituale parrocchiale di Avvento per il gruppo giovani.



Sabato 15 e Domenica 16 novembre, si terrà il ritiro spirituale in preparazione all' Avvento per giovani della Parrocchia all' Eremo delle monache Agostiniane di Lecceto.

01/11/08

Le Beatitudini meditate dai Santi


Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte:
si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli
».


BEATI I POVERI

Signore, che io non accumuli tesori sulla terra, ma nel cielo (Mt 6, 19-20)

1. Gesù ha iniziato la predicazione del Regno annunciando le disposizioni spirituali necessarie per conseguirlo; la prima riguarda la povertà: «Beati i poveri nello spirito, perchè di loro è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
Il Signore, nella sinagoga di Cafarnao aveva già letto e applicato a sé la profezia di Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona novella » (Lc 4,18). Nell'Antico Testamento, i poveri non sempre erano circondati di stima e di simpatia, ma piuttosto tenuti in nessun conto, mentre le ricchezze erano stimate un segno della benedizione di Dio.

Un po' alla volta però questa mentalità materialistica si è trasformata fino a considerare i poveri particolarmente protetti da Dio e suoi amici: « Porgi, Signore, il tuo orecchio - canta il salmista - rispondimi, perchè io sono misero e povero » (Sl 86, 1).
I poveri sui quali Dio si china con amore e che Gesù proclama beati, sono coloro che non solo accettano la loro condizione di diseredati, ma ne fanno un mezzo per avvicinarsi al Signore con umiltà e fiducia, attendendo unicamente da lui ogni loro bene. La Madonna appartiene alla loro schiera, anzi, come dice il Concilio, « essa primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali attendono con fiducia e ricevono da lui la salvezza » (LG 55). La semplice povertà materiale non costituisce quella disposizione interiore che Gesù vuol vedere nei suoi discepoli. Chi essendo povero, non finisce mai di lamentarsi, detesta il suo stato e forse cova odio e invidia verso i più abbienti, non è povero nello spirito. Il Signore vuole la povertà umile e contenta, come quella che S. Francesco ha scelto per sé e per i suoi figli, e che Giovanni XXIII ha praticato con tanta semplicità anche durante il suo pontificato. La povertà materiale è preziosa agli occhi di Dio in quanto ha la funzione di richiamo e di mezzo al distacco dai beni terreni, in quanto diventa riconoscimento della propria indigenza non solo materiale ma anche spirituale e perciò sgombra il cuore dalla presunzione, dalla boria, dall'orgoglio. Allora la povertà diventa disponibilità a Dio, apre a lui il cuore dell'uomo: e per riscontro Dio apre all'uomo il suo Regno.

2. I poveri che Gesù loda, non sono i fannulloni, gli inetti o i pigri, ma quelli che lavorando per migliorare in modo lecito la loro condizione, non sono però avidi di guadagno e di ricchezze al punto di riporre in esse il loro tesoro, dimenticando che beni più alti li attendono. D'altra parte, quando Gesù, quasi capovolgendo le beatitudini, ha detto: «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Lc6,24), non ha condannato i beni materiali, ma il possesso e l'uso sregolati, ingiusti che fanno naufragare il cuore dell'uomo nell'unica ansia dei beni terreni, chiudendolo al desiderio di Dio e alla carità versi i bisognosi. È la triste storia del ricco Epulone che, dato ai piaceri della mensa, non aveva un pensiero per il povero Lazzaro mendicante alla sua porta (Lc 16,19-31).
Gesù chiede a tutti i suoi discepoli - abbiano poco o molto - di essere « poveri nello spirito » in modo che la preoccupazione per la penuria dei mezzi o l'attaccamento alle ricchezze non diventi mai un ostacolo alla ricerca di Dio, non ritardi l'amicizia con lui, non appesantisca il cuore con cure eccessive per il benessere materiale, Per questo la Chiesa ammonisce tutti i suoi figli che, «mentre svolgono attività terrestri, conservino il retto ordine, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dallo spirito delle beatitudini, specialmente dallo spirito di povertà.» (GS 72).
Ma Gesù chiede a tutti anche una povertà più alta che è distacco dai beni morali e perfino spirituali. Chi ha pretese circa la stima e la considerazione delle creature, chi è attaccato alla propria volontà, alle proprie idee o è troppo amante della propria indipendenza, chi cerca in Dio gusti e consolazioni spirituali, non è povero nello spirito, ma ricco possessore di se stesso. « Se vuoi essere perfetto - gli dice Giovanni della Croce - vendi la tua volontà..., vieni a Cristo nella mansuetudine ed umiltà e seguilo fino al Calvario e al sepolcro.» (Par 5,6). Non è niente di più di quanto ha chiesto il Signore: « Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16, 24 ).
PREGHIERA: O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché o cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede e mentre nell'avversità spera la prosperità, nella prosperità teme l'avversità; è sballottato qua e là dai flutti in continua alternativa. Ma se tu, o Dio, concedi alla mia anima di attaccarsi saldamente al desiderio della patria celeste, resterà assai meno scossa dai turbamenti delle cose temporali. Fa che di fronte a tutte le agitazioni esteriori essa si rifugi in questo suo desiderio come in un ritiro segretissimo, che vi si attacchi senza smuoversi, che trascenda tutte le cose mutevoli e nella tranquillità della sua pace si trovi nel mondo e fuori del mondo.
SAN GREGORIO MAGNO, Moralia XXII, 35



BEATI GLI AFFLITTI

1. Gesù, venuto ad annunciare la buona novella ai poveri, è venuto anche « a predicare ai prigionieri la liberazione... a rimettere in libertà gli oppressi » (Lc4, 18 ). Ecco il segno inconfondibile della salvezza promessa da Dio al suo popolo e annunciata dai profeti: il Messia si china su tutte le miserie umane per salvarle, per dare sollievo e gioia agli afflitti, per consolare chi piange. Tuttavia gli afflitti, come i poveri, non mancheranno mai nel mondo. Le guarigioni miracolose operate dal Signore - « ciechi riacquistano la vista, zoppi camminano, lebbrosi vengono mondati, sordi odono » (Lc 7,22) - non sono che il simbolo di una salvezza più profonda ed essenziale. L'opera di Gesù non si ferma ai corpi, ma va più a fondo: tocca i cuori e li sana dal più grande dei mali: il peccato. Le afflizioni fisiche e mentali, le malattie, i lutti, le oppressioni, gli affanni della vita diventano il veicolo attraverso il quale l’opera della salvezza raggiunge più facilmente l'uomo.
« Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete », ha detto Gesù (Lc 6,25). Chi vive nel godimento, chi ha tutto ciò che vuole e non manca di nulla, corre un rischio tremendo. Soddisfatto di sé e della vita terrena, non avverte la precarietà della sua situazione, non sente il bisogno di essere salvato, non apre il cuore alla Speranza, delle cose celesti. Al contrario l'afflitto, impotente a liberarsi dalle sue tribolazioni, si rende conto che Dio solo può aiutarlo: da lui solo può essere salvato per il tempo e per l'eternità. Gli afflitti che, come i poveri, accettano dalle mani di Dio la loro sorte, che si sottomettono a lui con umiltà, e pur soffrendo non cessano di credere al suo amore di Padre e alla sua provvidenza infinita, sono proclamati beati da Gesù « perché saranno consolati» (Mt5,4). E se la consolazione piena sarà soltanto nella vita eterna, qui in terra, in mezzo alle loro angustie, non saranno privi del conforto di sentirsi più vicini a Cristo che porta con loro e per loro la croce.
2. Quando i mali fisici o morali tormentano l'uomo e sembrano inchiodarlo in situazioni irrimediabili, non è facile credere alla beatitudine proclamata dal Signore. Eppure il dolore nasconde sempre un mistero di vita e di salvezza. « Quanti seminano fra le lacrime mieteranno nel giubilo - dice il salmo -. Chi all'andare cammina in pianto, portando il seme da spargere, al ritorno viene con giubilo, portando i suoi covoni » (Sal 126, 5-6). Come il chicco di grano deve marcire nel solco per dar vita a nuove spighe, così l'uomo deve essere macerato nella sofferenza per dare frutti di letizia eterna. Ma bisogna aspettare e sperare la propria consolazione solo da Dio. Bisogna attendere lui, l'Unico che salva e cambia il pianto in gioia vera. Bisogna avere il coraggio di abbracciare la croce non solo con rassegnazione, ma con amore, con volontà decisa di seguire Gesù sofferente fino al Calvario, fino al sepolcro, perché soltanto dalla morte può fiorire la risurrezione. E questo farlo con cuore dilatato dalla carità che accetta di patire e di morire anche per la risurrezione dei fratelli. Allora si capisce perché S. Paolo ha potuto dire: « Sono ricolmo di consolazione, pervaso di gioia nonostante ogni nostra tribolazione » (2 Cr 7,4). È là beatitudine della sofferenza che incomincia ad avverarsi quaggiù per chi sa patire con Cristo per la salvezza del mondo.
Ma per coloro che amano Dio ci sono altri motivi di pianto. Sono le lacrime roventi di S. Agostino che non cessa di lamentarsi: « Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato» (Conf. X, 27, 38 ). Sono le lacrime della Maddalena penitente e di Pietro che piange il suo fallo. Sono le lacrime di chi, pur amando sinceramente Dio, deve ogni giorno rimproverarsi qualche debolezza, qualche infedeltà; lacrime sante di compunzione, dono dello Spirito Santo, che purificano dal peccato e uniscono a Dio. E lacrime ancora per tutto il male che, dilagando nel mondo, fa tante vittime, travolge tanti innocenti, fa deviare dalla fede, travaglia la Chiesa, offende Dio. Anche queste lacrime, che sono una partecipazione al pianto di Cristo su Gerusalemme e alla sua agonia nell'orto del Getsemani, saranno consolate, perché chi soffre con Cristo sarà con lui glorificato (Rm 8, 17).
PREGHIERA: Mio Dio, eccomi davanti a te, povero, piccolo, spoglio di tutto. lo non sono nulla, non ho nulla, non posso nulla... Tu sei il mio tutto, tu sei la mia ricchezza.
Mio Dio, ti ringrazio di aver voluto che io non fossi nulla davanti a te... Ti ringrazio delle delusioni, delle ingiustizie, delle umiliazioni. Riconosco che ne avevo bisogno. O mio Dio, sii benedetto quando mi provi. Annientami sempre più. Che io sia nell'edificio non come la pietra lavorata e levigata dalla mano dell'artista, ma come il granello di sabbia oscuro, sottratto alla polvere della strada.
Mio Dio, ti ringrazio di avermi lasciato intravedere la dolcezza delle tue consolazioni. Ti ringrazio di avermene privato. Non rimpiango nulla se non di non averti amato abbastanza. Non desidero nulla se non che la tua volontà sia fatta. O Gesù, la tua mano è dolce, perfino nel culmine della prova. Che io sia crocifisso, ma crocifisso per te.
GENERAL DE SONIS, Vie (par A. Bessières) p 248

Tu, o Signore, mi hai consolato nella tristezza. Nessuno infatti cerca la consolazione se non è nella miseria... Questa, purtroppo, è la regione degli scandali, delle tentazioni, di tutti i mali; ma se qui gemiamo, meriteremo di godere lassù; se qui soffriamo, meriteremo di essere consolati lassù... Questa è la regione dei morti. Scompare la regione dei morti, viene la regione dei viventi. Nella regione dei morti c'è la fatica, il dolore, la paura, la sofferenza, la tentazione, il gemito, il sospiro; Qui ci sono i felici all'apparenza e gli infelici nella realtà, perché falsa è quaggiù la felicità mentre vera è la miseria. Ma riconoscendo di essere ora nella vera miseria, sarò poi nella vera felicità; E appunto perché ora sono misero, ascolto te, o Signore, che dici: « Beati coloro che piangono ».
Si, veramente beati quelli che piangono! Niente è tanto affine alla miseria come il pianto; nulla è tanto lontano e contrario alla miseria quanto la beatitudine; eppure tu parli di piangenti e li chiami beati... Ma perché sono beati? Per ciò che sperano. Perché invece piangono? Per ciò che sono attualmente. Fa', o Signore, che io pianga in questa vita mortale, nelle tribolazioni della vita presente, nel mio esilio; ma poiché riconosco di essere in tali miserie e ne gemo, fa' che io sia beato.
SANT’AGOSTINO, In Ps 85,24



BEATI I MITI

1. « Beati i miti, perché erediteranno la terra » (Mt 5, 5). I miti di cui parla Gesù si identificano con i poveri e con gli afflitti che egli ha già proclamato beati perche nelle loro angustie non si ribellano, non reagiscono con violenza, ma si sottomettono con cuore mite e umile. Gesù, che è stato unto dallo Spirito Santo per compiere nel mondo una missione di mitezza, di bontà (Lc 4, 18), e si è presentato agli uomini come modello di mansuetudine (Mt 11,29), ha tutto il diritto di chiedere ai suoi discepoli di imparare da lui, di seguire il suo esempio. E perche possano farlo ha partecipato ad essi l'unzione dello Spirito Santo.
L'uomo non riuscirà mai a spegnere completamente in sé tutti gli impulsi e le reazioni della violenza senza l’intervento dello Spirito la cui azione, nei cuori che l'assecondano, produce il frutto squisito della mitezza (Gl 5, 22). Il mite, forgiato dallo Spirito Santo a imitazione di Cristo, è l'uomo che ha imparato a dominare tutte le manifestazioni scomposte del suo io: irritazione, sdegno, collera, spirito di gelosia o di vendetta; ed è pure l'uomo che ha rinunciato alla tentazione di imporsi, di farsi valere, di dominare gli altri con la prepotenza, Impresa ardua per una natura ferita dal peccato, in cui l'egoismo e l'orgoglio tentano sempre di affermarsi, di accampare diritti. Finche c'è vita, la vittoria non sarà mai completa; tuttavia il cristiano non deve cedere le armi, ma deve ogni giorno riprendere di buon volere i suoi sforzi invocando umilmente l'aiuto dello Spirito Santo perché distrugga in lui tutti i residui della violenza, del risentimento e sciolga ogni traccia di durezza. Vieni, Spirito Santo, piega ciò che è rigido, sciogli ciò che è duro, placa ogni collera, smussa ogni asprezza. È il Divino Paraclito, Spirito di dolcezza, che piega interiormente e soavemente la volontà dell'uomo, la inclina alla bontà, alla umiltà, alla mansuetudine. Chi ha lo Spirito agisce con dolcezza, direbbe San Paolo (Gl 6, 1),

2. Gesù ha promesso ai poveri il regno dei cieli, agli afflitti la consolazione e ai miti promette la terra. La diversità del premio è solo apparente, in realtà si tratta sempre e solo del regno dei cieli, presentato ai poveri come loro possesso, agli afflitti come loro consolazione, ai miti come loro eredità adombrata nella terra promessa. La terra promessa, era stata per lungo tempo l'oggetto dei vivi desideri di Israele, ma un po' alla volta essa venne a significare non tanto il territorio destinato da Dio al suo popolo, quanto l'eredità eterna, preparata ai giusti. Gesù ne parla in questo senso.
Chi nella vita preferisce rimanere indietro anziché farsi avanti e conquistarsi un posto con la violenza, ha il suo posto assicurato nel regno di Dio. D'altra parte è vero che, anche in questo mondo, la mitezza conferisce all'uomo una particolare capacità di dominio e di conquista. Anzitutto di se stesso, padroneggiando tutti i moti dell’ira e conservando la calma anche nelle contraddizioni, e poi degli altri perché la mitezza attira e conquista i cuori. Cosi il mite, che ha rinunciato ad ogni forma di violenza, proprio in virtù di questa rinuncia si trova ad avere un particolare ascendente sugli altri. Perché mentre la violenza respinge e chiude gli animi, la mitezza li apre alla confidenza, alla fiducia, li piega, li ammansisce. Gesù vuole che i suoi discepoli siano questi miti che vanno alla conquista del mondo non con mezzi che inaspriscono e provocano reazioni, ma con la dolcezza, la pazienza, la longanimità, «Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi » ( Lc 10,3) dice loro, mentre egli, Agnello innocente, li precede insegnando con l'esempio che per fare il bene bisogna soffrire e pagare di persona, piuttosto che imporsi o difendersi con la forza.
Proprio in questo senso S. Paolo scrive a Timoteo: « Ma tu, o uomo di Dio, mira alla giustizia, alla pietà, alla carità, alla fortezza e alla mitezza » (1 Tm 6, 11); e il Concilio Vaticano Il esorta tutti i fedeli a diffondere nel mondo « lo spirito da cui sono animati quei poveri, miti e pacifici, che il Signore nel Vangelo proclamò beati » (LG 38).

PREGHIERA O Dio-Uomo passionato, insegnami a considerare e meditare l'esempio della tua vita e a trarre da te la forma di ogni perfezione... Fa' che io corra dietro a te con tutto il trasporto dell'anima per giungere con la tua guida, felicemente alla Croce. Tu ti sei offerto a nostro esempio e ci solleciti a guardare a te con l' affetto dello spirito, dicendo: « Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre »... Tu hai posto l'umiltà di cuore e la mansuetudine a fondamento e ferma radice di tutte le virtù... Per questo, Signore, hai voluto che le apprendessimo principalmente da te... Fa' che io mi stabilisca: in tale fondamento, e in esso ponga le basi e mi studi di crescere. Che io sia fondata nell'umiltà, e avrò una conversazione tutta angelica; pura, benigna e pacifica, Sarò benevola e a tutti gradita, verso tutti mi mostrerò amabile... O umiltà, quanti beni rechi, tu che fai pacifici e sereni coloro che ti possiedono !
B. ANGELA DA FOLIGNO, Il libro della B. Angela Il, p 175-6. 179-80

Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come una sorgente; ottienimi un cuore semplice che non assapori le tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, sensibile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore per alcun male. Forma in me un cuore dolce e umile, amante senza esigere di essere riamato, lieto di nascondersi in altri cuori davanti al tuo Figlio divino; un cuore grande e indomabile, tale che nessuna ingratitudine lo possa chiudere, ne alcuna indifferenza stancare; un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal suo amore, e la cui piaga non guarisca che in cielo.
L. DE GRANDMAISON, Vita (di Lebreton) p 42-3



BEATI GLI AFFAMATI
1. Più volte Gesù si è occupato della fame e della sete degli uomini, e in modo tanto concreto che per saziarle ha compiuto prodigi: la moltiplicazione dei pani, la trasformazione dell'acqua in vino. Ma la fame e la sete di cui parla nelle beatitudini non sono quelle del corpo, bensì quelle dello spirito. « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati » (M t 5, 6), dice Gesù, e intende parlare degli affamati e assetati non di cibo o di bevanda materiali; ma di giustizia, ossia di perfezione, di santità.
Dio giustifica l'Uomo con la sua grazia: è la base indispensabile, il punto di partenza della perfezione cristiana, la quale peraltro non ha quaggiù termine di arrivo perche il cristiano è chiamato ad essere perfetto « come è perfetto il Padre celeste » (ivi 48 ). Chi ha coscienza dell'ideale e delle esigenze della perfezione evangelica non si sente mai soddisfatto della sua giustizia, delle sue virtù, delle sue opere buone. Anzi, a misura che procede nel cammino e si avvicina a Dio, avverte sempre più la distanza che lo separa dall'ideale e perciò diventa sempre più affamato e assetato. La sua prima fame è quella della volontà di Dio, cibo sostanzioso che deve nutrire il cristiano come ha nutrito Gesù: « Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato » (Gv 4,34); fuori della volontà di Dio non ci può essere né vera vita cristiana, né santità. La sua prima sete è quella « dell'acqua viva » della grazia, la quale, in chi la beve, « diventerà fontana d'acqua zampillante nella vita eterna » (ivi 14). Solo la grazia rende l'uomo figlio di Dio, fratello di Cristo, capace di emulare la santità del Padre celeste. Crescere nella grazia è crescere nell'amore, è entrare in più intima comunione « col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo » ( 1 Gv 1, 3) e in questa comunione abbracciare i fratelli. Dio solo può dare il cibo della volontà divina e l'acqua della grazia, perciò chi ne è affamato e assetato non cessa di invocarli tendendo la mano come un mendico verso chi può soccorrerlo. E Dio lo sazierà in proporzione della sua fame e della sua sete.
2. In genere si tende a credere che le beatitudini evangeliche siano riservate a poche creature elette, totalmente votate a Dio, Gesù invece le ha predicate alle folle e non ha fatto alcuna distinzione, come non ne ha fatte quando ha detto: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste » (Mt 5,48). Se le persone consacrate a Dio vi sono tenute in modo particolare, i semplici fedeli non ne sono dispensati perché, come afferma il Vaticano II, «il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini » (LG 31). Senza autentico spirito di povertà, senza amore alla croce, senza mitezza; come senza fame. e sete di giustizia, nessun cristiano può vivere con pienezza le istanze del suo battesimo e diffondere intorno a se lo spirito evangelico. Eppure non sono molti i cristiani così affamati e assetati delle cose divine per cui nella loro vita la ricerca del regno di Dio e della sua giustizia è sempre in prima linea (Mt 6,33). Spesso anche nel credente sono ancor troppo vive la fame e la sete delle cose terrene, la cui intensità fa deviare il cuore in cerca di soddisfazioni umane chiudendolo alla fame di quelle celesti. Bisogna pregare e lavorare per conseguire la grazia di una vera povertà di spirito che libera il cuore dall'impaccio di tanti legami terreni e lo dispone ad un'unica fame, ad un'unica sete, quelle lodate dal Signore.
Allora il cristiano abbandona ogni desiderio di essere satollato dai beni terreni e diventa sempre più affamato e assetato di Dio, di comunione con lui, di dedizione, di amore. Totalmente preso da questa fame e da questa sete, egli non può più concedersi riposo; per quanto faccia per Dio gli pare sempre di fare troppo poco, e mentre non tollera in se la minima infedeltà, alla grazia, s'impegna con tutte le forze per accendere in altri cuori la fame e la sete di cui soffre. « L'amore di Cristo ci spinge » (2 C, 5,14), diceva S. Paolo, e ardeva dal desiderio di prodigarsi per la gloria di Dio e per il bene delle anime (ivi 12, 15). Solo Dio sazia questa fame, inizialmente qui in terra e compiutamente nella vita eterna quando la sua presenza ne placherà ogni ansia.
PREGHIERA: Fa', o Signore, che desideri la giustizia con la stessa brama con cui si desidera il cibo e la bevanda quando si è tormentati dallo stimolo della fame e della sete, perche allora sarò saziato. Di che sarò saziato se non di giustizia? Sarò saziato in questa vita, perché il giusto si farà più giusto e il santo più santo... Ma la sazietà perfetta l'avrò nel cielo, dove la giustizia eterna ci sarà data con la pienezza del tuo amore. « Sarò satollo... quando si presenterà alla mia vista la tua gloria ».
[Ma in questa vita] avrò sempre sete perché non cesserò di desiderarti, o mio Bene supremo, e vorrò possederti sempre più... Avrò sempre sete, ma sempre mi disseterò perche avrò in me la fonte zampillante per la vita eterna... Sarò sempre assetato di giustizia, ma tenendo le labbra sempre attaccate alla fonte che avrò in me stesso, la sete non mi sarà penosa, né mai mi accascerà... La fonte è superiore alla mia sete, la sua ricchezza più grande del mio bisogno.
J. B. BOSSUET, Meditazioni sul Vangelo I, 5,v l ,p 24-5

Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco tu eri dentro di me ed io fuori. Lì ti cercavo. Deforme mi gettavo su queste cose belle che tu hai creato. Tu eri con me, ed io non ero con te. Mi trattenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi hai chiamato e il tuo grido ha sfondato la mia sordità. Hai balenato e il tuo splendore ha: dissipato la mia cecità. Hai sparso la tua fragranza, ed io l'ho respirata ed ora anelo a te. Ti ho gustato, ed ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ardo dal desiderio della tua pace.
S. AGOSTINO, Confessioni X, 27,38


BEATI I MISERICORDIOSI
1. « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7). Gesù non si è accontentato di annunciare questa beatitudine, ma ha anche insegnato la via per conseguirla: modellarsi sulla misericordia di Dio. «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6, 36 ). Dio, amore infinito, quando vuole raggiungere le sue creature non può farlo se non chinandosi fino al loro nulla, alla loro pochezza con un atto di misericordia infinita. Per misericordia egli ha tratto l'uomo dal nulla e l'ha tanto onorato da crearlo a sua immagine e somiglianza; quando poi l'uomo lo ha tradito, la sua misericordia è andata a cercarlo nell'abisso del peccato: « con eterno affetto ho avuto pietà di te » (Is 54, 8) e per redimerlo ha oltrepassato ogni limite giungendo a sacrificare per lui il suo Unigenito. Gesù, venuto nel mondo a incarnare la misericordia del Padre, ha dichiarato: «Voglio la misericordia e non il sacrificio; non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori » (Mt 9, 13 ).
La considerazione, o meglio la contemplazione della misericordia divina ha il potere di sciogliere la durezza del cuore dell'uomo, le sue intransigenze; le sue asprezze e di addolcirlo in un atteggiamento pieno di bontà verso i fratelli anche colpevoli, anche suoi debitori. Se la caratteristica dell'amore di Dio per gli uomini è la misericordia, come potranno i cristiani, figli di Dio, amarsi a vicenda senza misericordia? Nel discorso della montagna, dopo aver proclamato le beatitudini, Gesù presenta il precetto del l'amore appunto sotto il profilo della misericordia: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono» (Lc 6, 27-28). Senza questa profonda connotazione di indulgenza e di longanimità l'amore non potrebbe resistere a lungo fra creature che, per la loro debolezza, sono spesso le une alle altre occasione di angustia e quindi bisognose di perdono vicendevole. Come Dio ama l'uomo usandogli misericordia, così devono amarsi gli uomini fra loro, memori che quanto più saranno misericordiosi tanto più « troveranno misericordia».

2. Il grande premio promesso ai misericordiosi è quello di trovare misericordia, che è quanto dire assicurare la propria salvezza eterna. In cambio di un po' di misericordia usata tra fratelli per offese o debiti che, per quanto grandi siano, sono sempre limitati e passeggeri, il cristiano godrà e canterà in eterno le misericordie di Dio.
Tuttavia non è raro che l'uomo sperimenti una certa difficoltà nell'usare misericordia agli altri; ciò può dipendere dall'essere troppo poco consapevoli della propria indigenza personale e quindi dell'immensa necessità che ognuno ha della misericordia di Dio. Al cospetto di Dio tutti, anche i santi, sono sempre dei grandi debitori, dei poveri indigenti; nessuno, eccettuata la Madonna, può dire di essere stato sempre fedele alla grazia e all'amore, nessuno può dire di non aver mai offeso Dio, almeno lievemente. Profondamente convinti di questo, i santi hanno sperimentato un bisogno immenso della misericordia di Dio e di riflesso hanno sempre giudicato poca cosa l'usare misericordia verso il prossimo, perdonando anche le più gravi offese. La consapevolezza della miseria personale rende comprensivi e indulgenti verso le debolezze altrui; Sentirsi profondamente bisognosi della misericordia di Dio, rende spontaneamente misericordiosi verso i fratelli. Allora il cristiano non trova più duro perdonare, ma sperimenta la gioia di saper perdonare; allora va in cerca di coloro che, avendolo offeso, hanno maggior diritto alla sua misericordia e gli danno l'occasione di imitare la misericordia del Padre celeste.
«Quando un'anima - scrive Teresa di Gesù - si unisce intimamente alla stessa Misericordia, alla cui luce riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch'essa perdonare chi l'ha offesa» (Cm 36,12). Cadono così tutte le tentazioni di giudicare e condannare il prossimo, e il cristiano diventa come Gesù, dispensatore di misericordia, di perdono, di indulgenza.

PREGHIERA: Accorro a te, Signore Gesù, a motivo della tua bontà, perché so che non disprezzi i poveri; né hai orrore dei peccatori. Tu non hai respinto il ladrone che confessava il suo peccato, né la peccatrice in lacrime, né la cananea supplicante, né la donna colta in flagrante adulterio e neppure il gabelliere assiso al suo banco; non hai respinto il pubblicano implorante misericordia o l'apostolo che ti rinnegava, né il persecutore dei tuoi discepoli e nemmeno i tuoi crocifissori. Il profumo delle tue grazie mi attira... Fa' , o Signore, che a questo profumo rianimi il mio cuore, a lungo tormentato dal fetore dei miei peccati, affinché abbondi di questi profumi non meno soavi che salutari... Insegnami ad effondere il profumo della misericordia che è composto delle necessità dei poveri, delle angosce degli oppressi, delle ansie degli afflitti, delle colpe dei peccatori e infine di tutte le sofferenze di coloro che sono nel dolore, anche se sono nemici. Queste cose appaiono spregevoli [alla natura], ma il profumo che se ne ricava è superiore a tutti gli altri. È un balsamo che risana: « Beati infatti i misericordiosi perché troveranno misericordia »... felice l'anima che si studia di provvedersi abbondantemente di questi aromi, infondendo in essi l'olio della misericordia e infiammandoli con il fuoco della carità...
Fa', o Signore, che io abbia il cuore pieno di compassione per i miseri, che sia incline a compatire, pronto a soccorrere, che mi ritenga più beato nel dare che nel ricevere. Fa' che sia facile a perdonare e sappia resistere alla collera; che non acconsenta mai alla vendetta e in tutte le cose considèri le necessità degli altri come mie: che la mia anima sia impregnata della rugiada della tua misericordia, il mio cuore traboccante di pietà, in modo che sappia farmi tutto a tutti... e sia così morto a me stesso da non vivere più che per il bene altrui.
SAN BERNARDO, In Cantica Cant. 22,8; 11,8: 12, 1.



BEATI I PURI

l. « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5,8). L'uomo che ama Dio è affamato di giustizia, di perfezione, di santità, ma è anche ansioso di contemplare Dio, di fissare in lui il suo sguardo. « Io ricerco il tuo volto, Signore. Non nascondermi i1 tuo volto » (Sal 27, 8-9 ). Ma Dio sfugge agli occhi dei mortali. Mosè che aveva desiderato ardentemente di vederne la gloria, si è sentito rispondere: « Non potrai vedere il mio volto, perche nessun uomo resterà vivo dopo avermi veduto » (Es 33, 20). Finche l'uomo è pellegrino su questa terra non può che sospirare verso Dio: « Finche abitiamo nel corpo - dice S. Paolo - siamo esuli dal Signore, poiché camminiamo nella fede e non ancora nella visione» ( 2 Cr 5,6-7); La visione di Dio è riservata all’eternità e sarà il premiò di coloro che in terra non avranno cessato di cercarlo con cuore puro, retto, sincero. Dio, purezza immacolata, non può essere visto che da cuori puri, da occhi limpidi, i soli capaci di riflettere la chiarezza divina.
Gesù nel Vangelo ha parlato della purezza del cuore e dell'occhio come indice della purezza interiore ed esteriore di tutto l'uomo. «Le cose che escono dalla bocca provengono dal cuore e sono quelle che rendono impuro l'uomo. Dal cuore infatti provengono pensieri cattivi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, bestemmie» (Mt 15, 18-19). Solo quando il cuore è purificato da ogni ombra di passione, di desiderio cattivo, egoistico, disordinato, tutte le azioni dell'uomo sono splendenti di purezza e la sua vita è trasparente, senza macchia. Allora anche l'occhio è puro. «La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è limpido tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è torbido tutto il tuo corpo sarà tenebroso» (Mt 6, 22-23). L'occhio limpido suppone il cuore puro. La purezza del cuore è la luce della vita, la luce che apre gli occhi dell'uomo sulle cose divine e lo dispone gradualmente alla visione di Dio e dei suoi misteri. L'occhio puro è la lucerna che addita al cristiano la via per giungere alla visione eterna e, nello stesso tempo, gliene fa intravedere fin da quaggiù gli splendori.

2. La visione di Dio «faccia a faccia» è il premio che i puri di cuore riceveranno nell'eternità; ma ad essi ne è riservato un anticipo anche in questa vita. Se a Mosè è stato negato di vedere il volto di Dio, gli è stato però permesso di percepirne la grandezza e la bontà infinita. «Farò passare davanti a te tutto il mio bene e proclamerò il mio nome... davanti a te» (Es 3,19). Un privilegio simile fu accordato ad Elia quando sul monte Horeb, in una brezza leggera, gli si rivelò la presenza di Dio e udì la sua voce (l Re 19, 12-18). S. Paolo parlando di se stesso, narra di un uomo che «fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è possibile ad un uomo di proferire» (2 Cr 12, 4). La vita dei santi testimonia che, pur senza arrivare a comunicazioni così eccelse, Dio si compiace di rivelarsi in segreto a chi lo cerca in purezza di cuore. È il dono della contemplazione che Dio concede «come vuole, quando vuole e a chi vuole» (T.G. M IV, 1,2), ma che non lascia mancare del tutto, almeno nelle forme più semplici, a coloro che sono veramente affamati e assetati di lui. La disposizione fondamentale è sempre quella della purezza interiore; «Oh! - esclama Giovanni della Croce - se gli uomini sapessero di quanta abbondanza di luce divina sono privati a causa della cecità dovuta ai loro affetti e ai loro desideri [... sgregolati ], e in quanti mali e danni cadono ogni giorno perché non li mortificano! » (Sal 8,6). Uno dei più grandi danni è certamente quello di rendersi incapaci delle grazie contemplative.
Dio ha creato l'uomo per se: lo ha reso capace di amarlo, di conoscerlo, di contemplarlo nella fede in questa vita, per poi goderlo in eterno nella visione beatifica; ma l'uomo riempiendo il cuore e gli occhi di beni terreni si chiude alle comunicazioni intime di Dio e alle irradiazioni della sua luce. «Chi mi ama - ha detto Gesù - …io l'amerò e gli manifesterò me stesso» ( Gv 14,21 ); Se sono rari coloro ai quali Dio si manifesta è perché sono altrettanto rari coloro che, amando Dio al di sopra di tutte le cose, lo cercano con cuore assolutamente puro.

PREGHIERA: Che io impari a desiderarti, Signore; che lo impari a prepararmi per poterti vedere. Beati i puri di cuore perche ti vedranno.. E ti vedranno non perché sono poveri di spirito, né perché sono mansueti o piangenti o famelici e sitibondi della giustizia o misericordiosi, ma perché sono puri di cuore... Buona è l'umiltà per avere il regno dei cieli, buona la mansuetudine per possedere la terra, buono il pianto per essere consolati, buona la fame e la sete della giustizia per essere saziati, buona la misericordia per ottenere misericordia, ma,è la purezza del cuore che fa vedere te o Signore (Sr 53,1.9).
Io ti voglio vedere: è buona, è grande la cosa che voglio... Aiutami a purificare il mio cuore.. perché puro è ciò che io voglio vedere, e impuro è il mezzo con cui lo voglio vedere. Purificami Signore, con la tua grazia, purifica il mio cuore con i tuoi aiuti e i tuoi conforti. Aiutami a produrre per tuo mezzo e in unione con te, frutti abbondanti di opere buone, di misericordia, di benignità, di bontà (Sr 261,4.9).
SANT’AGOSTINO

Chi potrebbe ridire la bellezza di un cuore puro? ...Oh quant'è bella, quant'è incantevole questa fonte incorruttibile che è un cuore puro! Tu, o Dio, ti compiaci di rimirarti in esso come in uno specchio perfetto; vi imprimi la tua immagine in tutta la sua bellezza... La tua purità, o Dio, si unisce alla nostra che tu stesso hai prodotto in noi; e i nostri sguardi purificati ti vedranno risplendere in noi stessi di eterna luce...
Beato il cuore puro: esso ti vedrà, o Dio... Vedrà te, vedrà ogni bellezza, ogni bontà, ogni perfezione; vedrà il Bene, la sorgente di ogni bene, tutto il bene... Vedrà e amerà; ma se amerà sarà amato; canterà le tue lodi e ti vedrà e amerà senza fine. Sarà saziato dall'abbondanza della tua casa e inebriato dal torrente delle tue delizie... Beato dunque colui che ha il cuore puro... Fa', o Signore, che io non cessi di purificarmi sempre più.
J. B. BOSSUET, Meditazioni sul Vangelo I,7; v l, p 26-7

BEATI I PACIFICI

l. « Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9). Il regno dei cieli è promesso ai misericordiosi come misericordia, ai puri di cuore come visione, ai pacifici come filiazione divina. L'uomo pacifico, facitore di pace, meriterà in modo speciale di essere riconosciuto quale figlio di colui che è « il Dio dell'amore e della pace » (2 Cr 13,11).
La storia della salvezza è la storia della pace fra Dio e gli uomini, pace offerta dal Padre all'umanità tramite il suo Figlio divino. Cristo è venuto nel mondo « per dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1, 79), cosi l'ha previsto Zaccaria e cosi l'hanno annunziato gli angeli cantando alla sua nascita: « pace in terra agli uomini» (Lc 2, 14 ). Mandando i discepoli a predicare, Gesù ha voluto che fossero messaggeri di pace: « In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! » (Lc 10,5); la vigilia della sua morte ha 'lasciato ad essi, quale conforto e pegno di amore, la pace: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace » (Gv 14, 27) e, risorto, si è presentato salutandoli: « Pace a voi! » (Gv 20,21 ).
Il cristiano è vero figlio di Dio nella misura in cui prolunga nel mondo la missione pacificatrice del suo Unigenito, Gesù benedetto fattosi egli stesso « nostra pace » (Ef 2, 14 ). Ma per essere portatori di pace, bisogna anzitutto possederla in sé. Pace perfetta con Dio vivendo con amore filiale i suoi comandamenti, pacificando il cuore e i desideri personali nell'adesione amorosa al volere divino, in modo che non vi siano più dissensi tra la volontà dell'uomo e quella di Dio. Pace perfetta con i fratelli adempiendo il precetto di Cristo: « state in pace tra voi » (Mc 9,50), « amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv 15, 12). Quella pace che Cristo dona ai credenti nel battesimo e continua a ridonare mediante gli altri sacramenti e in modo speciale per mezzo della penitenza, essi devono conservarla intatta non solo per la propria salvezza, ma perche, trasmettendola; agli altri, diventi salvezza di tutti gli uomini e pacifichi tutto il mondo.

2. « La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio,... ha ucciso nella sua carne l'odio e, dopo il trionfo della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini » (GS 78). Il Concilio Vaticano II ricorda cosi che non si può essere autentici « pacifici », ossia facitori di pace, senza sacrificio personale. Come Cristo si è immolato per riconciliare gli uomini col Padre, per distruggere l'odio, per donare ai credenti lo Spirito di amore, cosi il cristiano deve essere costruttore di pace pagando di persona. Il discepolo di Gesù non può aspettare che siano gli altri a fare la pace e tanto meno può esigere che la pace sia fatta a spese altrui, ma deve prenderne l'iniziativa spianando ai fratelli la strada, rinunciando in loro favore ai suoi interessi e anche ai suoi diritti personali quando questi ostacolano, urtano o intralciano quelli altrui. Chi di fronte ad un ambiente, ad una comunità o alla società in lotta, si chiude nel proprio guscio, lasciando che gli altri contendano tra loro e accontentandosi di sperare che qualcuno li metta finalmente in pace, non è pacifico, ma egoista. L'autentico pacifico non può godere pace se intorno a se c'è guerra. Egli scende in lizza non tanto per rimproverare i contendenti o per predicare la pace, quanto per fare in pratica tutto quello che può dipendere da lui per promuovere la pace e non retrocede quando ciò esige il sacrificio personale. Del resto il cristiano autentico, che ha nel cuore e nel volto la pace di Dio, è di per se un facitore di pace: il suo gesto, la sua parola hanno una efficacia particolare per calmare gli animi, per sedare le contese, per comporre le liti. Oggi, in ogni ambiente, il mondo ha più che mai bisogno di questi pacifici figli di Dio, instancabili seminatori di pace. Fin d'ora essi sono beati, ma lo saranno immensamente di più quando il Padre celeste, riconoscendo in loro l'immagine del suo Unigenito, li chiamerà suoi figli e li accoglierà nel suo Regno.

PREGHIERA: O Dio, concedi a noi di essere pieni di comprensione vicendevole, imitando la tua compassione e la tua dolcezza, o Creatore nostro... Fa' che aderiamo a coloro che con religiosità schietta conservano la pace, e non a coloro che solo per ipocrisia dicono di volerla... Noi fissiamo il nostro sguardo in te, Padre, Creatore di tutto l'universo, ammiriamo i tuoi magnifici, ricchi doni e i benefici della tua pace; fissiamo col pensiero e guardiamo con gli occhi dell'anima la longanimità del tuo volere; e riflettiamo quanto tu, in tutto il tuo creato, ti mostri clemente... A tutte le cose ordinasti, o grande artefice e sovrano dell'universo, di mantenersi in pace e in concordia.
A tutti tu hai elargito i tuoi benefici, ma li hai elargiti soprattutto a noi, che abbiamo trovato il nostro rifugio nella tua misericordia, per opera di nostro Signore Gesù Cristo. A lui sia gloria e maestà per tutti i secoli dei secoli.
SAN CLEMENTE ROMANO, Prima lettera ai Corinti 14-15.19-20

O Signore, che buona cosa è amare la pace! Amarla è lo stesso che averla. E chi non vorrebbe vedere aumentare ciò che ama? Se voglio pochi in pace con me, sarà poca la pace che avrò. Perché questo possesso cresca, bisogna che aumenti il numero dei possessori... Se distribuisco del pane, quanto maggiore è il numero di coloro a cui lo spezzo, tanto minore ne diventa la quantità. Ma la pace è come quel pane che nelle mani dei tuoi discepoli si moltiplicava a misura che veniva spezzato e distribuito.
Dammi dunque la pace, Signore, per potervi attirare gli altri, l'abbia io per primo, io per primo la possegga. Arda in me il mio fuoco, perché possa accendere altri... Amante della pace, io per primo sia interamente preso dalla sua bellezza e bruci dal desiderio di attirarvi gli altri. Vèdano anch'essi ciò che io vedo, amino ciò che io amo, possiedano ciò che io possiedo. O pace diletta che mi sei sommamente cara tu mi dici: amami e subito mi possederai. Induci quanti più puoi ad amarmi: sarò casta e rimarrò integra. Induci quanti più puoi: mi cerchino, mi possiedano, godano di me.
SAN AGOSTINO, Sermo 357,2-3



BEATI I PERSEGUITATI

1. « Beati i perseguitati per la giustizia, perchè di loro e il regno del cieli » (Mt 5, 10). Molte volte Gesù ha predetto ai suoi discepoli che avrebbero dovuto condividere la sua sorte: « Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. - Un servo non è da più del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. – Anzi, viene l’ora che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere ossequio a Dio » (Gv 15, 18.20; 16,2).
Cristo non ha illuso i suoi discepoli, non ha promesso successi e trionfi, ma ha additato con chiarezza la stessa via battuta da lui: contraddizioni, odi, persecuzione, morte di croce. Chi si mette alla sequela di Cristo, se vuol essere nel vero, non può aspettarsi altro. Tuttavia ciò non vuol dire essere pessimisti, né scoraggiarsi o vivere nella tristezza, perché mentre Gesù preannuncia ai discepoli le persecuzioni, li proclama beati. « Beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno, mentendo ogni sorta di male contro di voi » (Mt 5,11). Anzi è questa l’unica beatitudine ripresa e sviluppata in più versetti quasi per persuadere i discepoli di quello che all’occhio umano è un vero controsenso: ritenersi beati quando si soffre.
Certo l’essere beati non consiste direttamente nella persecuzione, che è sempre reale sofferenza fisica e morale, ma nel fatto che questo patire è pegno di beatitudine eterna.
« Godete e rallegratevi – dice Gesù - , perché grande è la vostra ricompensa » (ivi 12).
Il Signore non chiede, al cristiano di chiamare gioia ciò che è dolore, non esige che diventi indifferente alle persecuzioni al punto di non soffrirne, ma gli chiede di ,credere, sulla sua parola infallibile, che quanto patisce per la causa di Dio, sarà certamente trasformato in gaudio di vita eterna. È la sovrabbondanza di questa fede che permette ai santi di gioire nelle persecuzioni sofferte per Cristo, ad imitazione degli Apostoli i quali se ne andavano « lieti di essere stati condannati all'oltraggio a motivo del nome di Gesù » (At 5, 41).

2. Le persecuzioni « per la giustizia » sono quelle stesse sofferte, Come soggiunge Gesù, «per cagion mia ». La causa della giustizia, ossia della salvèzza e della santificazione degli uomini, è la causa stessa di Cristo, la causa della sua incarnazione, passione e morte, la causa sostenuta dal suo insegnamento e dal suo esempio. Le persecuzioni di cui parla l'ottava beatitudine sono dunque quelle che il mondo prepara a chi abbraccia fino in fondo la causa di Cristo e del suo Vangelo seminando ovunque disinteresse, mitezza, misericordia, purezza, amore, pace. Se una simile condotta induce molti al bene, è inevitabile che susciti anche la reazione del male; dell'odio, dell'invidia; e mentre il bene si compie nel silenzio, il male reagisce con violenza tumultuosa, sicché in certi momenti le persecuzioni sembrano prendere il sopravvento. È stato così anche di Gesù, la cui vita spesa unicamente nel bene è sembrata ad un tratto sommersa e vinta dalle forze del male. Ma è proprio questo il contrassegno degli autentici discepoli di Cristo: condividere la sorte del loro Maestro; ed è questo il motivo profondo della loro beatitudine: trovare nelle persecuzioni la garanzia di non aver sbagliato strada.
« Guai quando tutti gli uomini dicessero bene di voi - ha detto Gesù -. Allo stesso modo facevano i loro padri con i falsi profeti » (Lc 6,26). Le lodi, le approvazioni del mondo, i successi continui non sono mai il distintivo dell'autentica sequela di Cristo, ma piuttosto l'eredità dei falsi profeti. Il vero profeta presto o tardi incontra sempre la contraddizione; ed è provvidenziale. Ciò lo preserva dalle lusinghe dell'orgoglio , lo rende cosciente
della sua pochezza, lo difende dall'illusione esaltante di essere capace di salvare, di trasformare il mondo e quindi lo mantiene nel numero di quei poveri che, pur adoperandosi con tutte le forze per la salvezza propria e altrui, l'attendono però dall’unico Salvatore. Chi invece si lascia irretire dal plauso del mondo corre il rischio tremendo di deformare o sminuire il Vangelo per non incappare nell'impopolarità, e finisce così con lo schierarsi tra i falsi profeti.

PREGHIERA. O Gesù, non ti è bastato fare, di tutte... le fonti di pene, fonti di gioia celeste, di gioia eterna; ne hai fatto gioie, dolcezze, delizie anche per questa vita, abbracciandole tu stesso. Tu hai abbracciato povertà, fame, lacrime, persecuzione; tutto in una misura inaudita; cosicché dopo di te, chiunque piange, è povero, ha fame, è perseguitato, ti assomiglia, ti imita. E che cosa mai c'è di più dolce della rassomiglianza con chi si ama? Qual bisogno mai, per il cuore, è più imperioso di quello di imitare l'essere amato? Qualsiasi povertà, fame, lacrime, persecuzione è dunque diventata una cosa soave, un bene prezioso e prediletto per colui che ti ama, perché questi sono altrettanti elementi di rassomiglianza con te, altrettanti punti di unione con te, o Gesù... Quanto sei buono, o Medico divino, che hai trasformato, sino alla fine del mondo, i nostri mali in gioie e in sorgenti di vita eterna!
C. De FOUCAULD, Meditazioni sul Vangelo, Op. sp. p 222-3

O altissimo Signore, eccomi pronto ad ogni pena, conoscendo che le tue croci nascono da tenerissimo amore e che solo è beato chi è da te crocifisso... Non si lamentino più gli uomini tiepidi dicendo che tu tratti male i tuoi amici, ma aprano con me gli occhi per conoscere la tua infinita benignità con la quale tu guidi per via di molto patire i tuoi cari amici, e intendano una volta quanto sia degno di commiserazione chi non è da te afflitto in questa vita temporale...

O pietosissimo Gesù mio, io non ardisco chiederti né croci né afflizioni, ma aiutato dalla tua forte ispirazione, con vivo, desiderio dal fondo del mio cuore mi rimetto e mi abbandono a te. Se ti parrà bene, o altissimo Signore, che io sia molto travagliato da tutti gli uomini con il tuo aiuto sopporterò ogni pena a lode del tuo santo nome, purché io patisca innocente; qualora poi fossi colpevole, sopporterò i tormenti a gloria e lode della tua santissima giustizia, il cui onore mi sarà sempre più caro del mio proprio. E quando sarò nel fondo dei dolori griderò a te con il buon ladrone: « Io, Signore, nolto giustamente patisco questi tormenti, ma tu non hai fatto nulla di male; Signore, ricordati di me nel tuo Regno ».

B. ENRICO SUSONE, Dialogo d'amore, 17. 26, Vita ed, opere p 159.192-3

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S. Maria in Selva