CATECHESI ED EVANGELIZZAZIONE:
prospettive future e linee guida per la missione "ad gentes"
crescenzio card. sepe prefetto
Vaticano, 10 Ottobre 2002
Signori Cardinali,
Eccellenze,
Cari Sacerdoti e fedeli laici:
Ringrazio per l'invito rivoltomi dagli Em.mi Prefetti delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per il Clero, che hanno organizzato questo convegno per commemorare i 10 anni della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica e i cinque anni del Direttorio Generale per la Catechesi.
Presenterò il tema assegnatomi, iniziando con un breve viaggio nella "memoria" per mostrare come la relazione tra Catechesi ed evangelizzazione ha le sue radici nel passato, si fonda su profonde e sicure ragioni teologiche e, oggi, offre alla Chiesa importanti prospettive per una rinnovata attività pastorale e missionaria.
1. La memoria
"Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza. Ho tante volte ripetuto in questi anni - scrive Giovanni Paolo II nella "Novo Millennio Ineunte" - l'appello della nuova evangelizzazione. Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dalla predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: "Guai a me se non predicassi il vangelo!" (ICor 9,16)" (n. 40).
L'urgenza dell'annuncio è una caratteristica fondamentale della vita della Chiesa, la cui storia è ricca di insegnamenti, ancora oggi validi per realizzare la missione dell'evangelizzazione e della catechesi nei diversi contesti in cui si deve proporre un primo annuncio o riportare le comunità agli inizi della fede.
In obbedienza al comando del Signore, la comunità apostolica e i Padri ci insegnano che l'annuncio, prima di essere un fatto organizzato e specifico di alcuni ministeri ecclesiali, è un dato che deriva dalla esperienza di fede e di vita piena che alcuni uomini e donne hanno sperimentato nell'incontro con Cristo, con il suo Vangelo e con la comunità ecclesiale. Questa trasmissione "spontanea e diffusa" delle comunità cristiane rimane, in seguito, la base di ogni fruttuoso annuncio missionario. Su di essa si innesta in modo fecondo la attività di coloro che nella Chiesa ricevono il mandato missionario.
La dimensione missionaria della Chiesa ha ricevuto un grande giovamento da istituzioni catechistiche, sorte fin dall'inizio per accompagnare i nuovi credenti sino al dono dei sacramenti della iniziazione cristiana, o per assicurare una formazione cristiana permanente. Rimane ancora oggi esemplare il catecumenato antico, che sviluppò la crescita umana e spirituale dei candidati, la loro purificazione, l'inserimento nella missione ecclesiale, la fruttuosa recezione dei sacramenti; come pure il catecumenato sociale che, diffusosi nella cristianità medioevale, contribuì a rendere soggetti della trasmissione della fede l'insieme del popolo di Dio, creando, soprattutto nei genitori, una sensibilità evangelizzatrice.
Il Concilio di Trento ha lasciato in eredità alla Chiesa una istituzione catechistica ben definita, che divenne la base per una diffusione della fede bene organizzata. Rimane esemplare sia il tentativo di dare risposta con differenti catechismi alla crisi pastorale derivata dalla riforma protestante, sia ai testi prodotti soprattutto nelle chiese latino-americane e asiatiche ai tempi della loro prima evangelizzazione (interessanti, a questo proposito, le relazioni dei missionari conservate nel nostro archivio storico).
Ma la grande "partenza missionaria" dei secoli XVI e XVII mise in evidenza anche un altro problema: la necessità di una maggiore attenzione alla cultura, anche religiosa, dei diversi contesti missionari. Si trattava di "dare ragione" della propria fede nei confronti di esperienze religiose "altre", con una loro tradizione radicata e significativa. Sappiamo quanto fu problematico e complesso il dibattito sulla questione, che oggi comunemente chiamiamo "inculturazione del messaggio della fede". Rimane esemplare, a tale proposito, quanto la Congregazione di Propaganda Fide raccomandava, nel 1659, ai Vicari apostolici dell'Indocina e della Cina. Nella celebre "Istruzione", a loro indirizzata, si trovano profetiche affermazioni sul rispetto delle culture dei popoli evangelizzati: "Non mettete alcun zelo, non avanzate alcun argomento per convincere questi popoli a cambiare i loro riti, i loro costumi e le loro usanze, a meno che non siano evidentemente contrari alla religione e alla morale. Che c'è di più assurdo del trasportare tra i Cinesi la Francia, la Spagna, l'Italia o qualche altro paese d'Europa? Non introducete da loro i nostri paesi, ma la fede, questa fede che non respinge né ferisce i riti né gli usi di alcun popolo, purché non siano odiosi [...] Non fate mai paralleli tra gli usi di questi popoli e quelli dell'Europa; anzi affrettatevi ad abituarvici" (Sacrae Congregationis de Propaganda Fide Memoria Rerum, voi. HI/2, pp. 702-703).
Nel XX secolo il carattere missionario della catechesi - anche nei paesi di tradizione cristiana - divenne una riflessione costante. Prima del Concilio Vaticano II numerosi autori hanno insistito perché la catechesi ritornasse ad una prospettiva missionaria, centrata sulla necessità di un annuncio della "storia della salvezza" realizzata in Cristo e presente nei misteri sacramentali celebrati dalla Chiesa. Un frutto maturo della feconda relazione tra catechesi e missione è rappresentato dal Decreto conciliare Ad Gentes nel quale troviamo, tra l'altro, l'invito fatto alla Chiesa universale a riprendere con coraggio la via del catecumenato e della iniziazione cristiana nella presentazione della fede alle nuove generazioni.
Senza dilungarmi ulteriormente sulla ricchezza innovativa della catechesi nel secolo appena trascorso, mi limito ad accennare, e in questa celebrazione anniversario non se ne può fare a meno, alla felice sintesi di molte istanze che la missione pone alla catechesi, accolte e recepite nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nel Direttorio Generale per la Catechesi
2. Teologia del compito missionario della chiesa
La svolta conciliare e il grande movimento teologico e pastorale del XX secolo ci consentono di avere una prospettiva teologica più adeguata del rapporto tra missione e catechesi, fondato su alcuni presupposti teologicamente decisivi, quali ad esempio, la centralità cristologica in riferimento alla storia della salvezza, e l'ecclesiologia di comunione, che conduce alla focalizzazione della sacramentalità della Chiesa come segno e profezia del Regno di Dio.
Queste prospettive teologiche hanno favorito una ridefinizione della dimensione missionaria, tratteggiando un orizzonte in cui viene riproposto alla coscienza ecclesiale la fondamentale missione delle Persone trinitarie. Il progetto di salvezza del Padre avviene nella storia e riguarda la storia. Dio desidera portare a compimento la sua creazione finché questa giunga, pienamente liberata, alla pienezza del Suo disegno. La rivelazione di tale disegno è stata la missione del Figlio, che è l'immagine del Dio vivente che da la vita. Così Cristo diviene contenuto e strumento della missione del Padre ma anche rivelatore e contenuto di rivelazione. La sua esperienza di uomo perfetto (cf. GS, nn. 22 e 41) ha reso possibile la realizzazione della missione del Padre. Al culmine della sua ora "missionaria", Egli ci ha donato il Suo Spirito, che è anche quello del Padre, e la cui missione, presente già nel mondo e in ogni realtà umana fin dalla creazione, ha prodotto in ogni tempo segni prodigiosi della presenza salvifica di Dio. Lo Spirito Santo che ha introdotto Gesù nella sua missione, ora accompagna la Chiesa e l'umanità verso il compimento inaugurato dalla storia di Gesù di Nazareth. La missione del Figlio e dello Spirito si incrociano nel Mistero della Pasqua. Là dove culmina l'azione missionaria di Cristo prende vigore la missione dello Spirito.
Nata dalla Pasqua, la Chiesa è inviata ad annunciare la salvezza definitiva nella pienezza dei tempi. Il suo compito missionario è l'evangelizzazione: ella annuncia e da avvio, in ogni tempo e luogo, al progetto che il Padre ha rivelato in Cristo. Con la sua ininterrotta vita missionaria, la Chiesa ha dato e continua a dare testimonianza dell'amore di Dio che si traduce nella offerta a lasciarsi riconciliare con Dio.
3. Problemi e prospettive della evangelizzazione nel mondo contemporaneo
La missione della Chiesa incontra, oggi, un mondo e una realtà socio-culturale che la riflessione filosofica e teologica definisce post-moderno. Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio, n. 91 scrive: "Una cosa tuttavia è fuori dubbio: le correnti che si richiamano alla post-modernità meritano un'adeguata attenzione. Secondo alcune di esse, infatti, il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l'uomo dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole. Parecchi autori, nella loro critica demolitrice di ogni certezza, ignorando le necessaire distinzioni, contestano anche le certezze della fede".
Un tempo, dunque, caratterizzato dalla frammentazione dei valori, dal pluralismo ideologico e dal conseguente relativismo della questione della verità. Ma un tempo che manifesta anche una rinnovata domanda di senso che si allarga alla esigenza di una condivisione della speranza e alla solidarietà nei progetti di vita.
In risposta a questo scenario, la riflessione missionaria sottolinea alcune linee prospettiche capaci di dare nuovo slancio e credibilità ai processi della evangelizzazione.
Emerge innanzitutto la necessità di adeguati e chiari processi di inculturazione del messaggio. Il Vangelo possiede una intrinseca capacità di collocarsi al centro e di leggere in modo critico e profetico le differenti culture operando un trascendimento delle culture stesse. "Evangelizzare, per la Chiesa, - ricordava Paolo VI - è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa [...] Si tratta [...] anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i crateri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e col disegno della salvezza" (Evangelii Nuntiandi, n. 18).
Sia sul problema dell'inculrurazione sia su quello del legame tra dialogo e missione è ritornato più volte, in questi ultimi anni, il Magistero pontificio ed episcopale.
Se inculturazione e dialogo sono metodi necessari per una giusta evangelizzazione, è anche vero che essi vanno adeguatamente preparati ed utilizzati. In realtà, soprattutto nei Paesi di missione, non sono mancate difficoltà o improprie applicazioni.
E' importante sottolineare la necessità che l'inculturazione e il dialogo non sono fine a se stessi e che essi "non possono divenire criterio di giudizio ed ancora meno criterio ultimo di verità nei confronti della Rivelazione di Dio" (cfr. Fides et Ratio, 71).
Nel documento "Fede e Inculturazione", pubblicato nel 1988, la Commissione Teologica Internazionale affrontava il problema del pluralismo culturale nel quadro di una "prospettiva missionaria", in stretto rapporto con l'evangelizzazione dei popoli, affermando che gli eventi e le parole rivelati da Dio devono essere di volta in volta ripensati, riformulati e nuovamente vissuti all'interno di ogni cultura" (C.T.I., Fede e Inculturazione, 1988).
Per un discorso equilibrato, in questo compito, insieme urgente e delicato, si deve convenire che il "principio di verità" non può essere regolato dal solo "modo culturale" di sentire (cfr. Dichiarazione dell'Associazione Teologica Indiana sul significato di Gesù Cristo nel contesto Indiano, Bangalore 1988).
Si da, infatti, talora l'impressione che il significato fondamentale di Gesù Cristo sia determinato più dal contesto culturale e sociale delle genti alle quali esso viene annunciato, che non da un principio di "verità rivelata". In realtà, il significato di Gesù Cristo deve essere determinato primariamente e originariamente da "chi egli è" e solo in parte da coloro dai quali è ricevuto. Diversamente, si finirebbe per cadere in quella chiave ermeneutica per la quale la Cristologia diviene una variabile dell'antropologia culturale, con conseguente relativizzazione della Persona di Gesù Cristo, della sua mediazione salvifica, unica e universale, e della stessa Chiesa, quale sacramento universale di salvezza, e, di conseguenza, del valore e del significato della Missio ad Gentes.
Da queste premesse consegue che la fede cristiana, proprio perché dev'essere "vera" in modo universale, pur non dovendo evadere l'esigenza della sua plur-inculturazione, non può identificarsi con nessuna delle singole culture, neanche con la cultura nella quale la rivelazione originaria della Verità cristologica si è incarnata, nella quale, com'è noto, essa ha apportato non poche e profonde innovazioni e superamenti, fino al punto di non poter identificare la fede cristiana con la sua inculturazione ebraica o ellenistica.
A maggior ragione, bisogna tener presente che l'esigenza della reinterpretazione messa in atto dalla teologia inculturata in rapporto all'evangelizzazione, non dev'essere compresa come una "reinvenzione" della figura di Gesù Cristo. In questo senso va il richiamo di Giovanni Paolo II nel suo indirizzo rivolta ad un gruppo di Vescovi indiani, quando raccomanda l'importanza del "carattere definitivo e assoluto della Rivelazione cristiana ed il valore permanente della Cristologia
del Nuovo Testamento, l'unità del mistero di Cristo, l'unicità e l'universalità della sua mediazione ed anche il ruolo salvifico della Chiesa quale sacramento e strumento di salvezza" ( cfr. L'Osservatore Romano 25 ottobre 1996, p.3).
Senza questi principi, la "missio ad gentes " sarebbe inutile e dannosa, svuotata dei suoi contenuti essenziali, ridotta al solo dialogo e all'impegno di liberazione sociale. Il relativismo cristologico e quello religioso divengono allora i nuovi dogmi: il dialogo diviene l'essenza del nuovo credo relativistico ed esso si oppone ad ogni convenzione e missione (cfr. Ratzinger, J. Fede e Teologia ai nostri giorni, Osservatore Romano, 27 ottobre 1996, pp. 7-8). La "relativizzazione" di Gesù Cristo porta alla perdita della sua "singolarità" ed "unicità" e decade solo a livello di una "particolarità di ordine puramente umano-storico", oppure di carattere puramente "mitologico": in questa ipotesi l'evento cristologico viene ridotto ad un mito religioso e la religione cristiana ad una forma subordinata alle sue espressioni di inculturazione (J. Chettinattau, The Challenges of Evangelizaation in India, in Jevadhoti 26 (1996), pp. 333-334.
Pertanto, per un corretto rapporto tra catechesi ed evangelizzazione e in quello più specifico tra dialogo e missione, è utile ricordare la validità di quanto proclamato dal Concilio Vaticano II (Dichiarazione, Nostra Aetate) e della Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte.
In realtà, la Chiesa intera e quella missionaria in particolare è impegnata in un dialogo vero e non in una trattativa con i nostri fratelli credenti. In ogni caso rimane che il compito del dialogo interreligioso dev'essere quello di aprire la via all'annuncio che si concentra in Cristo "Via, Verità e Vita" (Gv 14,6). Per questo, esso non può semplicemente sostituire l'annuncio, ma è orientato verso l'annuncio (cfr. Istruzione "Dialogo e Annuncio" del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, 1991).
Certamente, è necessario saper ascoltare gli altri, senza stabilire a priori e in modo astorico quali devono essere i problemi a cui rispondere né, tantomeno, offrire risposte pre-confezionate.
Lo stesso vale per il forte legame esistente tra evangelizzazione e promozione umana. Laddove quest'ultima rimane uno strumento per il raggiungimento dell'Evangelizzazione, la Chiesa cresce ed edifica il Regno di Dio contribuendo, nello stesso tempo, a dare dignità e giustizia ad ogni uomo: "II messaggio cristiano, recita il decreto conciliare Gaudium et Spes, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dalP incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente" (n.34).
Urgenza dell'evangelizzazione
Se è vero, come scrive il Santo Padre nella "Novo Millennio Ineunte ", che la Chiesa è ancora agli inizi dell'evangelizzazione, allora si comprende come tutti i membri del Corpo Mistico di Cristo, si
devono sentirsi impegnati a realizzare una profonda e sicura opera di catechesi che sostenga ed animi una autentica evangelizzazione, soprattutto nei Paesi di missione.
Ciò appare ancor più urgente e necessario in quelle Nazioni dove la Chiesa sta affrontando, pur tra mille difficoltà l'impegno della prima evangelizzazione in un contesto pluri-culturale e pluri-religioso. Basta pensare, ad esempio, al continente asiatico dove vivono le grandi religioni orientali e il maggior numero - il 60% della popolazione mondiale. Di questi quattro miliardi di abitanti, i cattolici sono solo 130 milioni, ossia il 2,6% concentrati, per lo più, nelle Filippine e in India, mentre nelle altre Nazioni Asiatiche essi non raggiungono neppure lo 0,5%. E' vero che la fede non è traducibile in termini numerici, ma è anche vero che nella presente stagione che ci vede testimoni del passaggio dal secondo al terzo millennio cristiano, non si può passare accanto a questi dati in modo distratto o cieco.
Da ciò ne consegue la necessità di una catechesi che dia priorità al primo annuncio e che la catechesi sia, per sua natura, catechesi evangelizzatrice.
L'evangelizzazione, infatti, non è uno dei compiti della Chiesa, ma, come afferma Evangelii Nuntiandi, "è la missione essenziale...è la grazia, la vocazione, l'identità più profonda della Chiesa. Essa esiste per evangelizzare" (n. 14).
Affermare che la vocazione della Chiesa è l'evangelizzazione, impegna ogni comunità ecclesiale a porre al centro della sua missione la Bella Notizia e, di conseguenza, significa affermare che tutte le molteplici attività della Chiesa hanno la loro legittimazione ed autenticità se sono al servizio della missione evangelizzatrice (cf. EN, n.24; DGC, n. 46).
In questi ultimi decenni sempre più è stato sottolineato lo stretto rapporto di integrazione e di reciproca complementarietà fra catechesi ed evangelizzazione (CT, n. 18), sino a concepire la catechesi come "via" e "momento" della stessa evangelizzazione (EN, n. 44; CT, n. 18). Anche il nuovo Direttorio Generale per la Catechesi situa la catechesi "all'interno della missione evangelizzatrice come momento essenziale della stessa", ricordando, che dall'evangelizzazione la catechesi "riceve un dinamismo missionario che la feconda ulteriormente e la configura nella sua identità" (n. 59).
Il primo annuncio, arricchito dalla testimonianza e dal dialogo missionario, è la prima e fondamentale espressione della missionarietà della Chiesa, è "attuazione più diretta del mandato missionario di Gesù" (DGC, n. 62). Esso chiede alla Chiesa e ad ogni cristiano "l'uscire, l'affrettarsi, il proporre" l'annuncio del Vangelo (DGC, n. 62), per suscitare stupore, conversione, adesione a Cristo.
In ogni caso, la testimonianza rimane, sempre e comunque, decisiva e insostituibile per ogni forma di catechesi e di missionarietà. E ciò vale per ogni tempo e ogni luogo, come lo dimostrano
gli innumerevoli catechisti e missionari che, da duemila anni, sull'esempio di Cristo, hanno dato la propria vita, spesso anche col sangue, per testimoniare la loro fedeltà al Vangelo.
E' la storia di duemila anni, ma è anche la storia dell'oggi della Chiesa. Sarà la storia anche del futuro, che durerà finché la Sposa di Cristo porterà a compimento il Regno di Dio sulla terra.
17 commenti:
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